Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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29 giugno 2016

In libreria

Alice Cati
Gli strumenti del ricordo. I media e la memoria
La Scuola, Brescia, 2016, 188 pp.

Descrizione
Viviamo in un'epoca assetata di ricordi, terrorizzata dall'oblio e dotata di formidabili strumenti di memorizzazione. Eppure la memoria continua a costituire l'oggetto di un dibattito complesso che coinvolge in forma transdisciplinare storici, antropologi, filosofi, semiologi e altre categorie di studiosi. Questo libro costituisce la prima introduzione in italiano ai Memory Studies. A partire dalla riflessione del mondo antico sulla memoria individuale e collettiva, e attraverso un'analisi del dibattito moderno, il volume disegna una mappa aggiornatissima della riflessione contemporanea legata sempre di più ai media e alle forme di esternalizzazione della memoria.
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26 giugno 2016

Migranti in cronaca

I migranti, i profughi. Lo straniero, il “diverso”. L’”altro”.
E’ così che i media etichettano le persone che fuggono da guerre, carestie, fame, persecuzioni per cercare una vita migliore o la semplice sopravvivenza. Proprio la rappresentazione dell’”altro” da parte dei media e in particolare della stampa italiana è l’oggetto di studio di questo testo di sconcertante attualità. L’autrice esamina il caso della rivolta di Rosarno visto attraverso gli occhi e la voce dei principali quotidiani e settimanali italiani. L’analisi di un fatto che risale al 2010 ma che può tranquillamente essere considerato un esempio per il presente. Nulla, infatti, sembra essere cambiato nell’informazione pubblica. Incagliata nella polvere della fretta e della cronaca, la tragedia di popolazioni devastate dalle guerre e dalla fame, viene presentata all’opinione pubblica quasi sempre con la stessa sceneggiatura. I migranti visti come violenti, pericolosi, portatori di malattie, rivoltosi, invasori. Si accentua il paradosso dell’informazione dove l’”altro” risulta vittima e carnefice contemporaneamente. Persone che come povere pietre senza parola e diritti sono, ogni giorno, ben visibili sui media eppure, per lo Stato, ancora invisibili o al più fantasmi. E loro, i migranti, gli “altri”, stanchi di rotolare tra la pietà della gente, se reagiscono, se parlano, se urlano, diventano immediatamente “rivoltosi”, pericolosi per la cittadinanza e il Paese. E’ accaduto a Rosarno nel 2010. Accade in tutta Europa, ancora oggi. Esistono “imprenditori della paura” che, senza scrupoli, per vendere di più, non esitano ad usare il dolore degli altri come strumento per catturare lettori e consensi politici. La retorica dell’accoglienza possiede ricordi di luce nei dintorni del suo esatto contrario: l’espulsione. La Erta, con meticolosa perizia, analizza proprio questa contrapposizione presentata dalla stampa e la sua grande responsabilità nella narrazione dei fatti tra questi mondi opposti. Un mondo che tende la mano, l’altro che la tira indietro. L’umanità e la disumanità a confronto. In mezzo l’opinione pubblica che troppo spesso non ha gli strumenti necessari per fare i dovuti confronti, per comprendere gli stereotipi e i pregiudizi costruiti ad arte nel tentativo, ormai consolidato, di perpetuare un’industria fiorente come quella creata intorno alle migrazioni. In tale contesto, la responsabilità dell’informazione appare enorme. Da parte di alcune testate non è accettabile il continuo depositare l’attenzione altrove, attendere ogni avvenimento come una conferma della sceneggiatura preesistente. Quasi come se l’immigrazione fosse una malattia. Da curare. Così com’è doveroso segnalare quei giornali che, con coraggio e professionalità, non accettano passivamente l’imposizione editoriale ma, nei limiti del possibile, presentano più sfaccettature dello stesso fatto, agevolando il lettore nella ricerca di un’opinione non infarcita dall’alto. Dell’”altro” e della sua percezione in Europa, rimangono le mani pietose le cui preghiere di aiuto scivolano fugaci e veloci tra le urla desolate della speranza. Il mondo non ascolta e non si meraviglia. Finge di essere buono e caritatevole come l’albero che offre ombra, tra le macerie aride di città volute distrutte dalle guerre, a chi, in perenne agonia, si rifiuta di sparire.  Nel testo si passano in rassegna i principali quotidiani italiani, facendone una radiografia accurata e ricca di esempi e immagini. Dalle foto-documento, dai reportage, dai titoli passionali di “la Repubblica”, dove il lessema guerra-battaglia-rivolta lascia il passo alle emozioni che approfondiscono la drammatizzazione della “caccia” al nero. Dove il lettore spesso è guidato attraverso percorsi fuori dall’allarme e dalla paura, accompagnato dall’infografica prepotente e da una valanga di dati che anestetizzano e uniformano il problema. Seppure i migranti diventano figure anonime, atopos, ibridi privi di posto, senza nome e nazionalità, immersi in scenari di degrado sociale, la loro descrizione non viene mai strumentalizzata per aizzare paure e fobie. Altrettanto si potrebbe affermare, anche se con precise differenze, del “Corriere della Sera” e de “La Stampa” che si rivolgono alla sensibilità del lettore, utilizzando il pathos per testimoniare, indagare, denunciare. A volte spalleggiando le decisioni di governance, a volte spingendo il pubblico verso una critica dell’Esecutivo. Di opposti propositi è l’interpretazione della notizia data da quotidiani come “La Padania”, “il Giornale”, il settimanale “Panorama” che descrivono l’emergenza nazionale come fatto compiuto dal quale ci si può solo difendere. Il “clandestino” rappresenta il conflitto etnico-culturale semplificato nella costruzione del “nemico”, prima da combattere e poi da espellere. Davvero l’informazione, quella vera, potrebbe cambiare tutto. La vita, le attese e le speranze di milioni di esseri umani. Ingoiando la notizia preconfezionata per agitare ventagli di palme e d’ulivi, sfogliando critiche sottili ai governi che ricercano il consenso. Sollecitando opinioni in grado di dare risposte ai lettori che cercano di distinguere la vita tra il soffio soffocante della guerra. Rifiutandosi di fare dell’immigrazione il topic adatto all’agenda setting delle prime pagine dei quotidiani, ricordando che i migranti non sono un insieme amorfo e indistinto ma parte della nostra stessa umanità, dove ognuno ha un volto, una storia e un nome. Questa è l’idea che, tra le righe, l’autrice intende evocare. Una stampa che non si squaglia dove è più difficile il compito di informare. Un giornalismo che non si disfa di fronte alle pretese di chi comanda. Un’informazione ancora più pluralista e corretta, nel rispetto di un’etica professionale e di una morale umana che precedono l’attimo in cui il giornalista assieme all’uomo si fondono oppure si perdono e, sviliti, deragliano.
Anna Scavuzzo


Angelica Erta
Migranti in cronaca.
La stampa italiana e la rappresentazione dell’”altro”: la rivolta di Rosarno
Ombre corte, Verona 2014

25 giugno 2016

Progetto MEDIANE - Media in Europe for Diversity Inclusivness

In una indagine del 2015 condotta per conto dell'Associazione Carta di Roma Anna Meli inquadra in modo preciso e puntuale le strutture e le pratiche di raggio politico sulla diversità all’interno di un campione rappresentativo tout court dei media europei. Emerge un quadro in cui la diversità è valutata come un valore aggiunto, elemento di creatività utile al fine di assemblare e rappresentare una società sempre più parcellizzata nelle sue componenti. L’indagine vuole essere, da un lato, una panoramica di ampio respiro sulle politiche di rappresentanza presenti nei media europei e, dall’altro, suggerire idee, progetti e prospettive di attuazione pratiche all’interno del contesto italiano. Il risultato che viene fuori dall’attenta ricerca è emblematico della disparità di trattamento riservato nei e dai media in riferimento a fattori di genere quali: età, razza, disabilità, nazionalità, cultura religiosa e appartenenza politica. La ricerca, pur presentandosi non comparativa tra i paesi considerati, risulta in definitiva mettere in luce sia elementi di similitudine che di contrasto nelle politiche sulla diversità presenti nei media analizzati. Il libro illustra, nei diversi contesti territoriali considerati (Regno Unito, Spagna, Francia, Italia e Svezia), programmi e politiche di parità utili a trasformare i fattori di diversità in un valore aggiunto di informazione, rappresentativo della pluralità sociale presente a livello locale, frutto anche dell’avanzato processo di globalizzazione che coinvolge il nostro continente. Si manifesta così la possibilità di rappresentare e raccontare il mondo e i suoi avvenimenti con occhi diversi, figli della complessità e parcellizzazione della realtà quotidiana. La presenza di organismi di progettazione e implementazione, le carte dei diritti, i codici di condotta, sono tutti elementi proiettati alla realizzazione sul campo di un modo di affrontare e vivere le tematiche legate alla diversità in modo imparziale, libero da pregiudizi e stereotipi. Il panorama europeo registra il moltiplicarsi di Uffici, Organi, Garanti, Codici e Carte che svolgono un ruolo fondamentale nel garantire la più completa presenza e l’equo trattamento delle tematiche legate alla diversità. Risultano tuttavia ancora eccessive nel numero e farraginose nell’applicazione delle loro mansioni, spesso poco conosciute e ancor meno rispettate dagli addetti ai lavori. Molteplicità di organismi ed enti, sia pubblici che privati, che propongono il messaggio della diversità, non solo come risultato e necessità del processo di integrazione sociale, ma anche come fattore di profitto in ottica di share, bilancio e fatturato. Tra gli elementi più comuni e condivisi da parte dei diversi media rientra, ad esempio, l’indicazione di non menzionare nella notizia origine, sesso, professione, appartenenza politica, orientamento sessuale o fede religiosa se non risultano rilevanti nel contesto informativo. Anche l’Unione europea, a partire dal 2013, si è mossa al fine di creare un progetto d’attuazione unitario in tutto il territorio, con lo scopo di costruire un rapporto nuovo con i propri molteplici pubblici di riferimento, ma anche e soprattutto come fonte di innovazione e creatività. È nato così il progetto MEDIANE (Media in Europe for Diversity Inclusivness), col duplice obiettivo di permettere, da un lato, a tutti i media europei di confrontarsi sul tema della diversità e, dall’altro, di rispondere alla necessità di dotarsi di strumenti utili a monitorare e valutare l’efficacia delle politiche messe in atto. Lo scopo ultimo è quello di agevolare l’integrazione e risultare maggiormente incisivi nei confronti dell’attuazione delle strategie comunicative legate alla diversità. Lo studio, in conclusione, si focalizza sulla condizione italiana, presentata come gravemente in ritardo e deficitaria rispetto al restante panorama europeo. Tuttavia l’incrocio di dati con le altre realtà mette in evidenza una data continuità di risultati, tale da non trovare riscontro in una visione così altamente negativa del caso italiano. Il quadro generale mostra un processo di avviamento di pratiche e strumenti al fine di garantire un’equità di trattamento rispetto ai fattori analizzati. Processo ben lungi dall’essere arrivato a compimento in tutto il panorama geografico osservato che, a sua volta, presenta livelli più o meno alti di disuguaglianza. Solo il tempo e la cultura saranno in grado di assorbire e poi valorizzare le diversità presenti nella società.
Andrea Popolano



Associazione Carta di Roma
Europa media e diversità. Idee e proposte per lo scenario italiano.

a cura di Anna Meli
Franco Angeli, Milano, 2015.

15 giugno 2016

In libreria

Mario Arceri
Giornalismo e comunicazione dello sport
Universitalia, Roma, 2016, 388 pp.

Descrizione

Il giornalismo è profondamente cambiato. Già radio e televisione, ottanta e sessanta anni fa, avevano modificato sensibilmente il modo di fare informazione e non solo sotto il profilo delle tecnologie utilizzabili. L'avvento di internet e la conseguente globalizzazione della comunicazione con il superamento delle barriere di tempo e di spazio - che continuano a caratterizzare i tre mezzi tradizionali - con la possibilità di informare in tempo reale, oltre ad accentuarne la crisi, ha determinato la nascita di una diversa professionalità modificando ruolo, funzione e specificità del giornalista che resta comunque il testimone più attento e insostituibile degli eventi che scandiscono la nostra vita. Ma ne ha aumentato, per le caratteristiche dei nuovi media, le responsabilità, richiedendo quindi un grado di cultura ancora più elevato, aggiornamento continuo, studio costante, attenta partecipazione nella percezione dell'eccezionale capacità penetrativa che il web consente.

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14 giugno 2016

Industria culturale e social media

Il libro di Agnese Vellar, docente di "Comunicazione e Social Media" presso l'Università degli studi di Torino, ha come filo conduttore una parola: partecipazione. E nell'era dell'abbondanza nella quale ci troviamo questa parola vuol dire tutto per i giovani L'autrice nella prima parte del libro analizza i cambiamenti delle industrie culturali. Negli anni settanta del '900 pochi detentori del sapere controllavano l'informazione e i contenuti, distribuiti in maniera verticale al pubblico; oggi si è passati alla già citata era dell'abbondanza in cui lo sviluppo di internet,  i social media e il nuovo modello "aperto" di conoscenza, hanno favorito lo sviluppo del movimento del free software, che ha alimentato la cultura della comunicazione, della condivisione e della produzione di contenuti in maniera libera. Questa rivoluzione di internet, che da ambiente di calcolo  è passato ad essere un ambiente sociale, ha contribuito allo sviluppo di comunità online. in un primo momento questi "mondi digitali" erano considerati distanti e diversi dall'ambiente offline, oggi invece la rete è riconosciuta come un ambiente sociale vero e proprio con le proprie regole, usi e costumi consolidati e rispettati. Il titolo del saggio ci offre subito una riflessione: esiste una relazione tra le industrie culturali e i pubblici partecipativi delle comunità online? Vellar analizza la realtà online in cui questa interdipendenza appare più evidente: il mondo fandom, ossia fan con una passione particolarmente intensa per forme di intrattenimento massmediale, come gruppi musicali, serie tv o particolari sport. Non si tratta di comuni spettatori, perchè stabiliscono una particolare relazione emotiva con il prodotto mediale. Le industrie culturali hanno capito che se vogliono sopravvivere in un'era in cui non sono più gli unici creatori e dispensatori di contenuti devono giocare con questo legame emotivo grazie alla nuova "cultura convergente", convergenza non solo di tecnologie ma anche di new media, sistemi produttivi sempre più globalizzati, culture e nuove forme di storytelling transmediale. Questa nuova cultura ha portato a strategie di "co-creazione", ossia l'utente non si accontenta più di essere solo uno spettatore e  di subire passivamente contenuti dalle corportation ma vuole lui stesso partecipare producendo contenuti e promuovendo il brand, starà alle aziende creare il giusto engagement per fidelizzare il cliente e creare un rapporto emotivo di lungo periodo. Il bello di internet però risiede nella libertà che ci concede e, di conseguenza, non tutti i fan scelgono di sottostare alle aziende nella creazione di contenuti. Ci sono molte comunità alternative indipendenti e autogestite in cui i fan sono liberi di creare prodotti multimediali o testi ispirati ad esempio al loro libro, film o serie tv preferita con finali alternativi o storie parallele e poi diffonderli in intenet. Questo fenomeno molte volte ha portato problemi sopratutto per violazioni di copyright o contrasti con il pensiero dell'autore originale, ma è stato altre volte incoraggiato dalle case produttrici per alimentare la libertà di espressione e creazione. Ed è proprio questa libertà che spinge l'utente a partecipare, dando il proprio apporto sia per il "bene comune" della società, sia per acquistare prestigio ed essere riconosciuti come esperti in materia, sia per convalidare la propria appartenenza come membri di quella cultura di riferimento. La partecipazione e la cultura dell'always-on hanno cambiato profondamente i nostri modelli sociali, culturali e persino economici. Questo saggio ci porta faccia a faccia con un mondo in continua evoluzione, che in soli 30 anni ha cambiato più e più volte modelli e paradigmi a cui le industrie culturali devono costantemente adeguarsi per ottenere profitti e visibilità, mentre gli utenti continuano a evolversi, specializzarsi e professionalizzarsi molte volte incuranti del contributo indiretto che, attraverso la produzione di contenuti gratis, stanno dando a questi colossi dell'industria mediale.
Erika Repetto

Agnese Vellar
Le industrie culturali e i pubblici partecipativi:

dalle comunità dei fan ai social media
Aracne editrice, Roma, 2015, 156 pp.



*link al blog dell'autrice Agnese Vellar: A-SOCIAL-MEDIA-SOMETHING


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12 giugno 2016

A passo di gambero con Umberto Eco

Anche ai migliori capita di guardare avanti, provare paura e desiderare di tornare sui propri passi. L’uomo occidentale ama ritenersi tale, con quel pizzico di presunzione che lo contraddistingue, sentendosi forte di secoli di storia fatta, a suo dire, di soli progressi.
Oggi il progresso sta nel cogliere una sfida senza precedenti: dopo oltre 2000 anni di conflitti e passi in avanti lenti e faticosi, col fiato ancora corto, siamo tutti chiamati a compiere un ultimo balzo in avanti e proiettarci definitivamente nel futuro. Il futuro, quello vero, dove gli errori del passato non sono ammessi.E sono questi che Umberto Eco condanna nel suo libro A Passo di Gambero, in tutte le librerie dal 4 marzo 2016. Il libro, già uscito presso Bompiani nel lontano 2006, è stato rilanciato dalla neonata casa editrice, La Nave di Teseo, voluta fortemente da Eco stesso. Il testo ha l’importante compito di inaugurare una nuova scia di pubblicazioni, si spera prolifera, e di rendere omaggio al grande scrittore, in occasione della sua scomparsa. Lo scopo delle casa sembra quello di porsi come ultima roccaforte in un panorama editoriale, quello italiano, che tende alla desolazione. È paradosso contro paradosso. Il paradosso delle nave, contro il paradosso di una società che affonda le sue radici nella cultura che rinnega sé stessa.
E allora non è un caso che sia stato scelto questo libro, che si ripresenta al grande pubblico con una nuova veste grafica, degna delle migliori prove di Calvino editore. Gli sarebbe piaciuta, ad Eco, che sicuramente aveva bene in mente il tema della leggerezza mentre scriveva i testi che lo compongono. Nel libro, infatti, sono presenti una raccolta di scritti comparsi tra il 2001 e il 2005. Nello specifico si tratta di interventi fatti per diversi giornali. È l’alba di un nuovo secolo e di un nuovo millennio, che lo scrittore racconta di aver atteso con ansia. I testi appartengono dunque ad un periodo molto circoscritto, ma i temi proposti vengono affrontati scavando nel loro passato e non manca di fornire una prospettiva per il futuro, ove possibile. I temi sono di quelli che dividono: la guerra, la politica, la storia, la religione ei mass media. Tutto ciò che più ci circonda e pervade le nostre vite. Tutto ciò che muta velocemente e, mutando, muta anche noi.
Con lo stile che lo contraddistingue, Eco riflette con lucidità su un presente che rischia di avere il sapore amaro del passato, fatto di scelte troppo spesso sbagliate. Pur scrivendo in una società così vicina, ma allo stesso tempo lontana, dai grandi cambiamenti che l’hanno stravolta di recente. Non manca di conferire ai suoi scritti un risvolto sempre attuale che permette loro di travalicare ogni confine imposto dalla nostra natura fragile. Ed è quello che fanno i saggi: volano alto sopra le cose come noi le conosciamo e osservano la realtà con sguardo disincantato. Oggi, più che mai, è richiesto un atto di fede nei valori in cui professiamo di credere o nulla avremo imparato dalla lezione del secolo breve.
Sembra che siamo cascati di nuovo nel giogo della propaganda, dove c’è chi pecca di ignoranza e chi di disfattismo. Ci siamo ritrovati in mezzo a guerre narrate in modo troppo superficiale per essere comprese a fondo, tanto da non capire la ragione della massa di disperati che si riversa sulle nostre coste. A proposito dei migranti, stiamo rispolverando la retorica di settant’anni fa, addolcita per ipocrisia, per giustificarne un rimpatrio, senza che ne vengano specificate le modalità. È il ritorno del disprezzo dell’altro, dello straniero, di ciò che non conosciamo. Oggi rischia di venirci negato il diritto al dissenso. Quel diritto che gli Americani sostengono di averci insegnato, dopo essere sbarcati in Normandia e ritrovandosi delusi di fronte alle risposte di chi ha voluto negargli un aiuto in Iraq. Mancanza di gratitudine? No, semplice buonsenso: il terrorismo non si sconfigge esacerbando un odio che più volte si è palesato sotto i nostri sguardi. E con ottimi risultati, per i terroristi, che banchettano sui fallimenti delle nostre prove morali. Oggi il mondo si divide tra chi inneggia all’odio e chi fa spostare un pianoforte e inizia a intonare Imagine di John Lennon, invitando i presenti a scavare nel profondo e dare solo il meglio di sé in questa assurda lotta. E forse Eco ha ragione quando ricorda che noi Europei in questo senso siamo più forti: sappiamo cosa vuol dire essere attaccati in casa nostra. Sappiamo cosa vuol dire rinunciare per sempre a luoghi preziosi per colpa dei bombardamenti. Forse, senza rendercene conto, lo sappiamo anche noi della nuova generazione, che non abbiamo conosciuto da vicino l’assurdità della guerra. Farebbe ormai parte di una memoria comune che ci rende parte di qualcosa di più grande.E infatti dei risultati sono stati ottenuti, ma questi rischiano di essere spazzati via per delle minuzie. È straordinario che inglesi e francesi non vogliano più farsi la guerra e sentano di appartenere ad una realtà nuova che va difesa, in nome dell’interesse comune, ma la vera unità dell’Europa sembra lontana. Ciò che rende un italiano un italiano, uno spagnolo uno spagnolo sembra pesare di più di ciò che rende un uomo o una donna cittadini europei. La prospettiva per il vecchio continente sarà più ingloriosa di qualunque guerra, se non saprà trovare quella coesione di cui ha bisogno, finendo nel dimenticatoio dopo essere stato faro di civiltà lungo i secoli.
Tutto questo trova il posto in un sogno di Eco, con i connotati dei peggiori incubi. Il mondo come oggi lo conosciamo, travolto da una guerra senza precedenti, viene spazzato via. Si salvano alcune zone dove gli essere umani riscoprono vecchie abitudini: dalle passeggiate in campagna, alla lettura di un libro, ai racconti intorno ad un fuoco. Ma, fortunatamente per noi, non è necessaria una nuova guerra globale per tornare ad apprezzare le piccole cose. Basterebbe spegnere il computer, consumare di meno, ma non solo. Serve, soprattutto, volerlo per davvero. Ogni altro passo indietro ci farebbe inciampare su errori di vecchia data e ci trascinerebbe in una catastrofe senza fine. Oggi l’abisso ci osserva, dobbiamo solo decidere se fare l’ultimo, definitivo, balzo in avanti o tornare indietro, a passo di gambero.
Federica Coretto

Umberto Eco
A Passo di Gambero
La Nave di Teseo, Milano, 2016 (prima edizione Bompiani, 2006).

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09 giugno 2016

In libreria


Giornalismo di pace
a cura di Silvia De Michelis - Nanni Salio
Gruppo Abele, Torino, 2016, 272 pp.
Descrizione

La guerra domina la scena dell'informazione: per interesse, per scelta politica, per superficialità. I media, poi, vengono per lo più usati dagli Stati come "armi di disinformazione di massa". A questa prassi si oppone il modello del "giornalismo di pace", elaborato soprattutto da Johan Galtung, che cerca di leggere in profondità i conflitti, rifuggendo dalle semplificazioni di chi descrive la guerra e la violenza come realtà inevitabili e ricercando gli obiettivi reali delle parti in causa, le loro contraddizioni e le vie possibili per superarle. L'intento non è quello di nascondere o di minimizzare la guerra ma di contribuire, con una informazione corretta, alla trasformazione non violenta dei conflitti. Di questo metodo il libro fornisce una ricca documentazione teorica e interessanti casi di studio.

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07 giugno 2016

In libreria

Ignacio Ramonet - Giuseppe Bettoni
Geopolitica del caos. Verso una civiltà del caos?
Asterios, Trieste, 2016, 144 pp.

Descrizione
Perché ristampare un testo “vecchio” di diciannove anni? Paradossalmente l’interesse di questo libro risiede proprio in questo: si tratta di un testo che analizza la situazione del mondo in un momento storico, la fine del XX secolo, con le nostre stesse caratteristiche sociali ed economiche ma con il vantaggio di essere antecedente all’attacco alle Torri Gemelle avvenuto l’undici settembre del 2001. La sua visione è certamente più lucida e più “fredda” perché libera del “velo” del terrorismo di matrice islamica che sembra coprire qualunque riflessione dei nostri giorni, soprattutto dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Ramonet compie in questo lavoro una revisione dei concetti fondamentali, economici, politici e sociali, per interpretare il punto di confusione in cui si trovava (e si trova) il mondo. Una “geopolitica del caos” che quasi due decenni dopo non ha preso una ruga, una grinza e che, al contrario, sembra più che mai efficace proprio perché molti degli aspetti evocati in questo lavoro, sono ancora validissimi oggi. La forma del “potere” era già mutata alla fine del XX secolo e ancora oggi possiamo porci la domanda che si poneva Ramonet nel 1997 : chi governa il mondo oggi? Tutti guardavano agli USA come i nuovi “padroni”, la nuova potenza. Ma da lì a poco si scopriva che gli USA erano meno pronti di quanto non si credesse a fare da leader al mondo. Quello che è il punto di partenza dell’analisi di Ramonet è proprio il ruolo degli USA che si poteva immaginare come egemonici dopo il crollo dell’URSS, ma che già manifestavano cedimenti importanti. Cedimenti legati all’impossibilità oramai di avere una leadership economica non avendo risorse, per esempio, per finanziare un nuovo piano Marshall per gli ex-membri del Patto di Varsavia. Questa difficoltà sembrava poco importante nella prima Russia di Boris Eltsin, mentre le conseguenze di quella impossibilità a finanziare gli stati dell’ex-URSS appaiono evidenti nell’era dello “zar Putin”. Gli USA che, dopo il fallimento di Reagan, concretizzatosi nel catastrofico quadriennio di George Bush, reagiranno con i due mandati Clinton cercando in tutti modi di rispondere alla domanda degli americani di una speranza di ripresa economica. Ripresa che effettivamente avranno, ma che andrà comunque a frantumarsi con la crisi del 2008: anche quella già leggibile attraverso le parole di questo libro. Per questo la domanda resta integra: chi governa il mondo?

04 giugno 2016

Genova in libreria

Uliano Lucas
Il tempo dei lavori

Il Canneto editore, Genova, 2016, 114 pp.
Descrizione
In occasione dei 120 anni dalla nascita della Camera del Lavoro di Genova, il fotografo Uliano Lucas, autore di reportage che vanno dalla cronaca al documento politico e sociale, torna a “spiegare, dare emozione, e far ragionare” su quello che è oggi effettivamente il lavoro in Italia, e in particolare a Genova. Istantanee in bianco e nero che variano dagli operai delle storiche fabbriche dell’acciaio nel Ponente ligure ai responsabili dell’acquario di Genova, dai vigili del fuoco ai ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Ogni fotografia di Lucas coglie perfettamente l’importanza che la storia delle lavoratrici e dei lavoratori, nonostante il peso crescente del progresso tecnologico, assume nel nostro Paese. Prefazione di Susanna Camusso e contributi di Ivano Bosco e Luca Borzani.
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01 giugno 2016

Un’istante per l’eternità: le emozioni del fotogiornalismo

Un affresco di grandi città e grandi teatri che hanno fatto da sfondo all’attività dei fotogiornalisti: è questo “Lo scatto umano, viaggio nel fotogiornalismo da Budapest a New York, un viaggio a due voci in cui Emanuele Giordana e Mario Dondero hanno illustrato la genesi e alcuni sviluppi di un’attività così essenziale per l’informazione. Nello scrivere questo libro Emanuele Giordana ha cercato di creare raccordi tra un racconto e l’altro di Mario Dondero e di mettere ordine alle conversazioni avute con lo straordinario fotografo di origini genovesi sperando di alimentare l’interesse per un mestiere in crisi. Il risultato non è, come si può pensare in un primo momento, un manuale per diventare un buon fotogiornalista, né l’illustrazione di tecniche particolari o il racconto dell’esperienza dei grandi nomi del fotogiornalismo, che pur sono descritti con grande enfasi. È, piuttosto, un racconto di emozioni, ricordi e personaggi, alcuni anche ignoti al grande pubblico, che hanno passato la vita con una macchina fotografica al collo o nella camera oscura. Il volume, corredato nella parte finale, a cura di Malvina Giordana, dalla biografia di dieci fotoreporter che hanno fatto la storia della fotografia, presenta anche una serie di scatti che portano il lettore a comprendere il contesto storico e sociale in cui i fotografi hanno lavorato. Il libro è stato preceduto da un ciclo di trasmissioni condotto dagli autori di Radio3, per cui Giordana lavora, dal titolo “Fotoreporter”. “I primi fotoreporter e i primi creatori di agenzie avevano in comune tre cose: erano ungheresi, erano ebrei, erano di sinistra”. Il viaggio attraverso i meandri del fotogiornalismo non può, dunque, che iniziare da Budapest, punto di partenza di grandi fotoreporter come Robert Capa, ma anche di mediatori per eccellenza tra il mondo dei fotografi e il pianeta dell’editoria: i creatori delle prime agenzie di distribuzione di immagini. Il percorso continua poi attraverso grandi centri europei, come Parigi, Madrid, Londra, Praga, Mosca. Immancabile, ovviamente, New York, dove già intorno agli anni Venti del Novecento i fotografi potevano pubblicare ciò che in Europa sarebbe stato censurato. L’autore non dedica alcun capitolo a un vero e proprio fotogiornalismo italiano, ma a sprazzi racconta di un mestiere che ha faticato ad affermarsi. Dondero parla di un interesse per la fotografia nato con l’esperienza di “Omnibus” di Leo Longanesi, ma che si è subito affievolito a causa dell’irruzione della televisione nelle case degli italiani. Racconta di un’idea servile della fotografia in Italia, nata principalmente con scopi propagandistici e che in fin dei conti ha avuto pochi spazi dedicati. Mario Dondero ed Emanuele Giordana conducono il lettore anche in un viaggio profondo su ciò che è il mestiere del fotogiornalista. Un mestiere che propone al fotoreporter tre opzioni: raccontare la verità, mentire su ciò che si vede raccontando una contro verità oppure raccontare in modo così attenuato che non c’è più ombra di denuncia. È un mestiere che prescinde dalla conoscenza tecnica, per il quale l’unica scuola è la sperimentazione. “Sono la passione, l’impegno civile e la curiosità che restano il grande motore. Diversamente, il fotogiornalismo è soltanto una sequenza di scatti senz’anima”. Mario Dondero non nasconde, infine, una certa paura per il futuro del fotogiornalismo e, in generale, della fotografia. Secondo lui la fotografia è diventata la sorella povera della televisione, prima, e della tecnologia digitale, poi. Il fotogiornalismo inteso nell’accezione tradizionale del termine è messo in crisi dall’istantanea di un improvvisato reporter col telefonino, che batte tutti in velocità. Dopo il massiccio trasferimento dei dati iniziato nel 1998, oggi gli archivi sono tutti digitali. In pericolo ci sono quindi quei milioni di metri di pellicola, quelle centinaia di migliaia di scatti che rischiano di scomparire perché il loro proprietario non c’è più. La speranza di ogni lettore è che le fotografie di Mario Dondero non vengano dimenticate o perse negli anfratti di qualche archivio. Dopo la sua scomparsa nel dicembre 2015, l’humanitas di Dondero continuerà a vivere e pulsare attraverso i suoi scatti, che raccontano la sua straordinaria onestà e un’apertura senza pregiudizi verso il mondo.
Maila Falzone





Mario Dondero - Emanuele Giordana
Lo scatto umano, viaggio nel fotogiornalismo da Budapest a New York
Roma-Bari, Editori Laterza, 2014, 139 pp.

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