Università degli studi di Genova



Blog a cura di Marina Milan, con la partecipazione di studenti, laureandi e laureati dei corsi di Storia del giornalismo e Giornalismo internazionale dell'Università degli studi di Genova (corso di laurea magistrale interdipartimentale in Informazione ed Editoria).

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11 dicembre 2016

Tra Pinocchio e Gian Burrasca


 
“Ne ammazza più la penna” è un titolo ambivalente che mette il pubblico di fronte ad una serie di brevi letture lasciando quesiti aperti e disparati.
Chi sono le vere vittime della penna?
La penna, forse, ha “ammazzato” i protagonisti delle storie d’Italia riportate negli articoli dei diversi giornalisti che si sono susseguiti nel tempo?
O, forse, sono state più le volte in cui gli stessi giornalisti e scrittori si sono visti soccombere di fronte a quelle notizie e idee da loro portate alla luce e che mai avrebbero dovuto raggiungere l’opinione pubblica nei diversi momenti storici e politici vissuti?
Nel percorso storico intrapreso e riportato da Vercesi, dai tempi della caduta di Napoleone fino agli anni Sessanta del Novecento, attraverso fatti, notizie ed aneddoti, emerge come vi sia stata un’evoluzione del giornalismo e come, allo stesso tempo, ciò che accadeva nel periodo post giacobino si sia mantenuto e ripetuto nel tempo.
Vi sono giornalisti eroici che hanno rischiato la loro stessa esistenza in nome della verità e della loro onestà intellettuale.
Silvio Pellico, durante i dieci anni di detenzione nel duro carcere dello Spielberg, avrebbe scritto un’opera letteraria come “Le mie Prigioni”, senza conoscerne e goderne mai il successo meritato e riconosciuto, a posteriori, dal pubblico. Scontata la pena, una volta tornato libero, decise di tenersi lontano dalla politica, senza mai rinnegare le proprie idee e continuando a coltivare la sua vena giornalistica e letteraria.
Vi sono, quindi, giornalisti che non hanno mai tradito sé stessi.
Giuseppe Mazzini, il quale dedicò la sua intera esistenza al mondo dell’informazione, può essere considerato, nuovamente, un vero eroe. Non bastava impegnarsi; ogni articolo doveva riportare la firma in calce. Ci si doveva esporre in prima persona.
Non sempre, però, si poteva rischiare ed apporre la firma sugli articoli pubblicati.
O meglio, forse ci si sarebbe anche potuti scontrare con i grandi poteri centrali e le estreme dittature, ma a quale prezzo?
Così, soprattutto in tempo di guerra, la maggior parte dei professionisti avrebbe optato per l’autocensura e, così, per l’autoconservazione.
Vi sono i codardi e “fifoni”: quelli che hanno respirato una boccata di libertà con l’uscita dalla scena politica di Napoleone e che, appena sono venuti a conoscenza dell’imminente ritorno di Sua Maestà, ne hanno condiviso la gioia universale sui giornali e con il popolo.
E poi, vi sono i carrieristi, gli ambiziosi o, meglio ancora, gli arrivisti che sanno quando è giunto il tempo di cogliere un’opportunità; quelli avidi di successo e potere e che, per questo, sanno cavalcare l’onda cambiando repentinamente la propria direzione, senza vergogna e senza alcuno scrupolo.
Vercesi, nelle vicende narrate in piccoli paragrafi e scorci di storia, ha la grande capacità di far emergere nel lettore un’immagine del giornalista alquanto complessa.
Emerge l’amante della verità, dell’amor proprio e dell’onestà intellettuale.
Emerge il timoroso che preferisce mettersi al riparo da ogni possibile ritorsione.
E, infine, emerge l’arrampicatore.
Lo sguardo al passato di Vercesi sembra unirsi e mescolarsi con quello dei giorni nostri, facendo diventare il ruolo del giornalista ed i problemi ruotanti intorno alla sua professione quanto mai attuali e in continuità con quelli dei secoli precedenti.
In conclusione, risulta significativo il paragone che lo scrittore utilizza tra due personaggi fantasiosi della letteratura italiana: Pinocchio da un lato e Gian Burrasca dall’altro.
Pinocchio, il burattino che vedrà allungarsi il naso tutte le volte in cui dirà una bugia, già da bambino è abbastanza adulto e responsabile da sapere che il mondo, senza il suo senso di colpa, non sta insieme. Pinocchio è un libro aperto, come appare.
Pinocchio è la vittima predestinata delle autorità.
Gian Burrasca, invece, è bugiardo come il demonio e le sue vittime se ne accorgeranno troppo tardi (quando se ne accorgono). E’ la disperazione dei genitori, è il prototipo di tutti i no global, un kamikaze. Gian Burrasca rappresenta l’estremismo ed è nemico di tutte le autorità.
Pinocchio rappresenta il politically correct; Gian Burrasca è l’outsider.
Di fronte a questi due immaginari, l’Italia non è mai riuscita a scegliere.
Valentina Trinchero


Pier Luigi Vercesi
Ne ammazza più la penna.

Storie d'Italia vissute nelle redazioni dei giornali 
Palermo, Sellerio, 2014, pp. 384

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